mercoledì 10 febbraio 2016

Viki che voleva andare a scuola - Fabrizio Gatti

Questa è la copertina dell'edizione di Viki che ho letto. Come mai ho questa e non la nuova edizione BUR di marzo 2015? 

L'altro giorno, all'incontro LIA (Leggere insieme... ancora! - gruppo che è una parte ormai fondamentale della mia vita) qualcuno è arrivato con un po di libri "vecchi" della biblioteca. Comprati ad 1 euro nel mercatino che le Biblioteche di verona organizzano per avere dei fondi per nuovi acquisti. Comprati per noi, per il futuro, mi ha detto! E io, tra tutti, ho scelto di portarmi a casa Viki. 

Che bellissimo libro. Che mal di pancia.
 Ho davvero avuto il mal di pancia mentre leggevo. Ma l'ho divorato in 2 giorni. Niente è cambiato. Cambia solo il paese di cui si scappa. E il paese a cui si arriva.
"Mara, non è così. A loro non importa se non hai fatto niente di male, se hai un lavoro onesto, se tutte le mattine e tutte le sere fai due ore ad andare e due ore a tornare per lavorare, se abiti in una baracca in mezzo ai topi e ai rifiuti... A loro non importa se noi qui lavoriamo per gli italiani e facciamo lavori che gli italiani non vogliono più fare. Loro non ti guardano nemmeno i calli che hai sulle mani. Loro ti chiedono il permesso di soggiorno. E se non ce l'hai..."
Cambiamo la parola "italiani" per qualsiasi altra nazionalità di questa Europa fatta di egoismi.... che vale lo stesso.  

Viki è un bambino albanese. Suo padre abita illegalmente in Italia da più di un anno. E' arrivato quindi il momento di riunire la famiglia. Per farlo, però, bisogna fare un lungo viaggio, attraversare il mare e diventare "clandestini". 
"E' la nostalgia di casa, vero?" - domanda Edmond, che sa già la risposta. "Non si sa mai se si sta facendo la cosa giusta ma allo stesso tempo non si può restare senza fare nulla. Soltanto noi che andiamo via lo sappiamo: bisogna partire con la speranza di tornare. Ma dentro sentiamo che non torneremo più"
Il primo mal di pancia arriva con il saluto ai nonni. Perché senza preavviso mi ritrovo a vedere mia mamma: l'ultima volta che ci siamo viste risale ormai a più di un anno fa. C'era un tempo in cui parlavamo al telefono ogni giorno. La vita non mi permette nemmeno quello ormai. E vedo lei, al letto, che piange mentre io vado. Chi sa se ci rivedremo. Quindi io so cosa sentono quei nonni nel salutare i nipoti, quella figlia nel salutare la mamma. Senza sapere se e quando la rivedrà. Ne se arriverà viva dall'altra parte del Mediterraneo. 

Il mal di pancia cresce durante la traversata in mare. Come può un uomo fare del male, consapevolmente, ad un altro uomo (e per soldi!) è qualcosa che non riuscirò mai a spiegarmi. Non ci riesco. Non è sopravvivenza, non così. Non dovrebbe! Ma lo fanno. E penso sia molto addolcito in questo romanzo quello che può essere attraversare il Mediterraneo in un gommone. Come pure il "trattamento di favore" rivolto ai bambini. Ma arrivano, e trovano delle persone buone che gli accolgono. 
"E noi avremo una casa bella come quella di Michele e Lucia?""Viki, la cosa più importante da stasera" risponde la mamma "è che nella nostra casa ci sarà anche papà" 
Ma se la tua nuova casa, il sogno di venire in Italia, ti porta a vivere in una baracca? Bene, si sopporta tutto per stare insieme. Per fortuna papà ha torvato una scuola per Viki. Una scuola dove poter imparare. 
"I bambini italiani possono dire di avere case più belle, più grandi e più ricche della nostra. Ma anch'io posso dire di avere una scuola bella come quella dei bambini italiani. lì, con le maestre e i miei amici, siamo davvero tutti uguali. Tranne che nei regali di Babbo Natale" 
All'inizio non è facile, non capisce niente. Ma piano piano Viki si farà degli amici, comincerà a parlare in italiano. La storia non si sofferma molto sulla vita a scuola. Diventa un momento di liberazione per Viki. Un luogo dove non si sente un "clandestino". Dove è soltanto un bambino con tanta voglia di imparare. E forse è questo il messaggio profondo di questo libro. Che a scuola tutti sono uguali... non dovrebbe essere così?
"I numeri in italiano sono identici a quelli in albanese. Si scrivono esattamente nello stesso modo. Un 3 a Milano è uguale a un 3 a Lezhe. E anche le operazioni sono identiche: 3 + 7 fa 10 sia in Italia sia in Albania. La matematica non ha differenze di lingua. Per questo mi piace tanto. Quando Ilaria parla, non sempre la capisco. Ma quando scrive sulla lavagna i dati del problema e spiega le operazione per risolverlo, a me è subito tutto chiaro. Era già così i primi giorni di scuola. La matematica è proprio la materia che mi piace di più. E' stato il primo alfabeto con cui sono riuscito a comunicare con i bambini italiani." 
Che dire, un libro che racconta il coraggio di non arrendersi, di cercare la propria felicità. Racconta l'importanza della famiglia e della istruzione. Racconta che ci sono ancora persone buone al mondo ma, purtroppo, puoi trovarle solo dopo aver superato l'incontro con i cattivi. Racconta l'altra parte delle moneta. Quella di chi è venuto alla ricerca di una vita migliore per i propri figli. Lo racconta a chi ha dimenticato che i nostri nonni hanno fatto lo stesso per noi (e che crede che oggi tutti gli immigrati siano accolti in hotel a 5 stelle). Da leggere OGGI che l'emergenza non è più l'Albania. Che chi arriva oggi, con gli stessi problemi e le stesse speranze resterà, come allora fecero Viki e la sua famiglia, senza che ciò significhi meno per noi. Che alla fine noi chi? Europei? Cittadini del mondo? Umani? 
"Ora frequento la scuola media. Non ho ancora capito se possiamo chiamarci europei o soltanto stranieri. E non ho ancora finito il mio tema. Ho scoperto però che in Europa non sempre giustizia e legalità coincidono: perché non sempre ciò che è legale è anche giusto, così come è stato per noi. 
E se un giorno, attraversando la periferia di una grande città come Milano, Roma, Napoli, Marsiglia o Barcellona, vi capiterà di vedere una baracca, pensate a chi ci abita. Forse anche lì c'è un bambino che ha tanta voglia di andare a scuola"  




Viki che voleva andare a scuola 
Fabrizio Gatti
BUR
La prefazione di Gian Antonio Sella vale quanto il libro, da leggere assolutamente.


"Mamma?"
"Dimmi, Brunilda"
"Cosa sta facendo adesso la nonna?"
"Non lo so, tesoro. Forse sarà andata al mare a guardare l'orizzonte. Come stiamo facendo noi"